Raccontiamola tutta, la storia (della “foiba Fous di Balanceta”)

Ad ogni giorno del ricordo spuntano foibe come fossero funghi…
Solo la ricerca storica rigorosa e documentata ci può mettere al riparo dalle intossicazioni.

 

di ANPI Splimberghese

Commemorazione per il Giorno del Ricordo, Memoria alle Vittime delle Foibe e degli Esuli da Istria, Fiume e Dalmazia, nell’area verde di Via Carnia in Spilimbergo.

Quest’anno verrà inoltre benedetta ed inaugurata una targa alla Memoria delle Vittime della Foiba “Fous di Balanceta”, che si trova sul Monte Ciaurlec in Comune di Travesio.

Si invita alla partecipazione ricordando che la commemorazione è apolitica e apartitica.

Sulla conclamata apolicità della commemorazione nutro alcuni dubbi, ancorchè seri. Sulla a-storicità invece della iniziativa nutro alcune certezze. In primis perchè nulla ha a che vedere la storia dei giustiziati del Ciaurlec con la storia delle foibe. Per motivi geografici, temporali e, per l’appunto, storici.

E’ indubbiamente una storia di morte e di morti, come sempre lo sono le storie di guerra, regola dalla quale non sfugge la storia della guerra partigiana, ma è anche altro. E’ anche una storia di spie, di delazioni, di controllo del territorio. Primo Zanetti, anni 19, partigiano castelnovese, viene impiccato a Spilimbergo. A seguito delazione. Gianni Missana, 14 anni, di Valeriano, viene impiccato davanti a casa. Stessa spiata.

Vengono fermati e spediti in Germania ragazzi e donne, le case dei partigiani vengono bruciate. A seguito delazioni. I nazifascisti alimentano lo spionaggio, con particolare dedizione alla causa da parte della X Mas. I partigiani combattono il fenomeno, tentano di limitarlo e di eliminarlo. Per i partigiani della zona essere del luogo è una forza (conoscono il territorio), ma è anche una debolezza. Sono conosciuti, e con loro i familiari, che iniziano a pagare sempre più duramente. A seguito delazione, ovviamente, e pure di incaute segnalazioni ad informatori prezzolati.

Proprio sul Ciaurlec, a seguito delazione spia ben identificata, muore Vittorio Brisighella “Disastro”, che si sacrificherà impadronendosi di una mitragliatrice e sparando fino al termine delle munizioni per permettere il ripiegamento dei suoi . Si renderà necessario il dislocamento delle forze partigiane.

Come amministrare la giustizia partigiana diviene una necessità primaria e anche un tormento, sempre di uccidere civili si tratta, magari conosciuti, o parenti. Lo sarà in tutti i luoghi dove si combatterà la guerra di liberazione. Si uccidono le spie, qualche volta anche solo presunte tali, anche da noi. I partigiani non lo nascondono, Enzo Tonelli rivendicherà nelle sue memorie la legittimità dei “processi partigiani”, segnalando però anche quanti furono assolti e “lasciati andare”. E che sempre si cercarono i testimoni tra i “civili”

In fosse senza nome furono lasciati i nemici di allora, ma in fosse senza nome furono lasciati dai loro compagni anche i partigiani morti. In guerra non c’è tempo per i morti, manca anche quello per i vivi. Le onoranze funebri spettano al poi.

Troppo spesso la guerra partigiana è stata narrata con facili stereotipi, in un’oleografia che rischia di sommergere la carne e il sangue dell’esperienza partigiana in un’immagine che le rende scarso servizio, nella quale alla fin fine il partigiano buono è solo quello morto o che non ha mai sparato un colpo. Ritengo si tratti di un insulto alla spaventosa verità della guerra che i partigiani combatterono, nella quale uccisero e furono uccisi.

Raccontare che guerra fu, e quale guerra fu, feroce quanto e più di ogni altra, serve soprattutto ad impedire che degli episodi isolati siano ingigantiti e usati come prove contro il valore etico e politico del movimento resistenziale. E a confutare il bieco revisionismo di chi vede in quel periodo una guerra civile tra parti ideologicamente e politicamente uguali, una sorta di carneficina dove fascisti e partigiani si ammazzavano a vicenda come in una battaglia tra bande.

I partigiani non aderirono a un’esaltazione delle armi, non cercarono una violenza paritetica a quella fascista: la violenza non fu per i partigiani elemento fondante, ma sempre e solo una dura necessità. Questo fu, anche sul Ciurlec. Il resto non è Storia, ognuno la chiami come vuole.

Bianca Minigutti