Per raggiungere la Valtramontina oggi dovete passare dove comincia il lago di Redona.
In realtà state attraversando un luogo pieno di storia, una storia gioiosa ed eroica al tempo stesso.
Nell’estate-autunno del 1944 la diga ed il lago ancora non c’erano e quel pezzo di strada era diventato il check point partigiano di una repubblica libera… La Zona libera della Carnia prese forma e si costituì in un territorio formalmente annesso alla Germania nazista, comprendente circa 90 mila abitanti distribuiti in 41 comuni di cui 6 parzialmente liberati.
La Valtramontina fu parte di questo vastissimo territorio ed ospitò il comando partigiano preposto alla difesa dei suoi confini, fino alla fine di quella grandiosa esperienza che arrivò nel dicembre di quello stesso anno a seguito di una tremenda offensiva nazi-fascista. Furono pochi mesi, ma furono mesi incredibili e densi dove prese vita un’importante attività costituente attraverso le Giunte comunali.
Per la prima volta in Italia venne riconosciuto il voto alle donne. Si legiferò sulla gestione delle risorse e sulla natura da preservare, sulla scuola gratuita e più democratica, sulle tasse più eque e sulla giustizia gratuita.
Nacquero i Gruppi di Difesa della Donna che svolsero un intenso lavoro di collegamento ed approvvigionamento tra i reparti della Resistenza e l’Intendenza partigiana anche dopo la caduta della Zona libera.
In quei pochi mesi la gente della Carnia e delle Prealpi friulane, i montanari di allora, furono capaci di scrivere una pagina esemplare di democrazia popolare.
Dimostrarono la capacità e lo slancio di darsi liberi ordinamenti democratici in uno dei momenti più tragici della seconda guerra mondiale e per di più circondati da un nemico spietato e crudele.
A tutti/tutte loro va la nostra eterna riconoscenza.
Le immagini
In ordine verticale:
- la locandina del docufilm Carnia 1944: un’estate di libertà di Marco Rossitti;
- un particolare dell’opera Pannello grafico (1948) di Afro Basaldella esposta al Museo d’Arte Moderna e Contemporanea Casa Cavazzini a Udine (da vedere);
- l’opera di Quisco che rappresenta Jole de Cillia, partigiana combattente caduta a Palcoda.
Servizio del TG3 regionale Friuli Venezia Giulia del 25 aprile 2020
Alla Prova
La complessità e la densità della relazione tra popolazione e partigiani emergono con particolare chiarezza quando e dove le formazioni riescono a esercitare un controllo stabile sull’area in cui sono insediate, come accade nella stagione delle zone libere che si formano con una tempistica variabile tra la tarda primavera e l’autunno del 1944, in Friuli come in Emilia-Romagna, in Piemonte e in Valle d’Aosta come in Lombardia e in Liguria.
Come abbiamo detto, in quella fase, dopo lo sfondamento della linea Gustav, l’avanzata alleata accelera e la liberazione di Roma (il 4 giugno), lo sbarco in Normandia (il 6) e poi quello in Provenza (il 15 agosto) fanno assaporare la sensazione che si sia ormai giunti alle battute finali della guerra. Per il movimento partigiano ciò significa essere arrivati al dunque, al momento in cui viene messa alla prova la sua stessa ragion d’essere. È per questo che alla fine di giugno il Cvl dirama alle formazioni l’ordine di occupare paesi e vallate, perché la Resistenza deve dimostrare di poter liberare e presidiare autonomamente parti del territorio prima dell’arrivo degli angloamericani e anche di saper mobilitare le popolazioni che le abitano. Tanto più che le condizioni sono propizie, perché i tedeschi hanno necessità di concentrare truppe sulla linea Gotica e, dove la loro presenza si riduce, i fascisti non hanno la forza per imporre e mantenere il proprio controllo su aree ampie al di fuori delle città.
Sono celebri e molto citati (in ragione dell’estensione dei territori, della durata, dei progetti politici elaborati) soprattutto i casi delle zone libere di Montefiorino (giugno-luglio 1944), della Valsesia (giugno-luglio 1944), della Carnia (agosto-dicembre 1944), dell’Ossola (settembre-ottobre 1944), dell’Alto Monferrato (settembre-novembre 1944). Ma di recente è stato ricostruito un panorama ben più fitto, per quanto frammentario, in cui da 15-16 zone libere inizialmente censite si è arrivati a contarne fino a 23-26, a seconda dei criteri di analisi adottati. Ciascuna di esse ha la sua storia e la sua specificità (alcune nascono in seguito a un’azione militare pianificata, altre semplicemente perché gli occupanti lasciano libero il territorio), hanno diversa durata, diversa vivacità e incisività nell’organizzazione politica. Tutte, però, consentono di aggiungere elementi importanti per quanto riguarda il rapporto con i civili. Le formazioni partigiane, infatti, si devono misurare con compiti di governo: talvolta lo fanno direttamente o attraverso propri delegati, talvolta demandano l’incombenza ai Cln o a giunte locali elette appositamente – con modalità differenti – e incaricate di riprendere in mano la vita della comunità. Comunque, è il presidio militare dell’area da parte dei resistenti a rendere possibili queste esperienze, che provano a riattivare la vita politica e in qualche caso a sperimentare forme di democrazia. Certo, non sempre questi sforzi riescono e in breve tempo tutte le zone libere vengono spazzate via dalla reazione dei nazifascisti. Ma resta il fatto che, con il nemico alle porte, dopo vent’anni di dittatura e quattro di guerra, questi tentativi non sono cosa da poco. Forse ancora più importante è il fatto che i partigiani sono chiamati a confrontarsi con le esigenze concrete della popolazione. Con forme e caratteristiche che cambiano a seconda delle aree, garantiscono il controllo dell’ordine pubblico, in molti casi con squadre di polizia partigiana; si occupano dell’amministrazione della giustizia, facendosi carico anche di controversie tra privati; assumono funzioni di amministrazione civile, interessandosi della gestione e della distribuzione delle risorse, presiedendo agli ammassi, vigilando sulla regolamentazione dei prezzi; ripristinano servizi pubblici di base, come i trasporti o la posta. Diventa problematico, pensando a situazioni di questo tipo, dipingere i partigiani come “ospiti” ingombranti che pretendono solo di essere sfamati: sono invece una risorsa importante per le comunità interessate.
Più in generale, nelle aree in cui si insediano, quando riescono a mantenerne il controllo almeno per un periodo, le formazioni, mentre continuano a combattere, provano a dare forma al caos scatenato dall’occupazione, a cancellare l’insicurezza, a liberare dalla paura incombente le persone che ci abitano. Certo, fino alle ultime fasi che precedono la Liberazione sono tentativi transitori, schiacciati dalla repressione di tedeschi e fascisti, che semina altra paura capace di distruggere i legami di fiducia stabiliti.
Chiara Colombini, Anche i partigiani però…, Laterza, 2023, pp. 82-84
Per approfondire l’argomento
-
- Alfarè Brunello, Carnia Libera 1944. Guida al museo, Kappa Vu, 2004
- Augeri Nunzia, L’estate della libertà. Repubbliche partigiane e zone libere, Carocci, Roma, 2014;
- Buvoli, Fabbroni, Emanuelli, Le radici del futuro ;
- Buvoli, Zannini (a cura di), Estate-autunno 1944. La Zona libera partigiana del Friuli orientale, Il Mulino, 2016;
- Buvoli, Comi, Ganapini, Zannini (a cura di), La Repubblica partigiana della Carnia e dell’Alto Friuli. Una lotta per la libertà e la democrazia, Il Mulino, 2013;
- Carrattieri Mirco, I confini della libertà. La cartografia delle “repubbliche partigiane” nella storiografia sulla resistenza italiana
- Vallauri Carlo (a cura di), Le Repubbliche partigiane. Esperienze di autogoverno democratico, Laterza, 2013;
- 1944 – Le Repubbliche Partigiane del Centro Studi Luciano Raimondi.